Omelia del Card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze in occasione della 78ª Assemblea Generale Straordinaria - Assisi, 13-16 novembre 2023
16 novembre 2023 10:34

Ben 21 attributi servono all’autore sacro per tratteggiare la natura della Sapienza, un numero di assoluta perfezione, risultato di 7 per 3, per assicurarsi che le parole giungano al cuore del mistero di Dio. Ne era consapevole Francesco d’Assisi, che pone la Sapienza al primo posto nel suo Saluto alle virtù , attribuendole un titolo regale: «Ave, regina sapienza, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa, pura semplicità» ( Fonti Francescane , n. 256). Ancora, Francesco, nelle Lodi a Dio Altissimo , fa della sapienza un carattere costitutivo dell’essere di Dio, collegandola questa volta alla carità: «Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza» ( Fonti Francescane , n. 261). La molteplicità degli attributi riservati alla Sapienza dall’autore biblico non è priva di una sua logica, in quanto essi si distribuiscono sulle due dimensioni della trascendenza e dell’immanenza: collocano la Sapienza nel cuore del mistero di Dio e al tempo stesso ne fanno il modo con cui egli si fa presente al mutare delle vicende umane. E se la Sapienza divina è il criterio di verità dell’azione di Dio di Creatore e Signore della storia, questa duplice connotazione diventa un indirizzo a cogliere il senso delle vicende umane, la verità delle cose, in una sintesi tra principi immutabili e attenzione al divenire e alla concretezza della storia. Il Dio della nostra fede, ancor prima dell’incarnazione del suo Figlio, si rivela come un Dio compromesso con la storia dell’uomo e le sue tracce vanno ricercate nelle pieghe del divenire. Abbiamo così un riferimento fondamentale per il discernimento a cui siamo chiamati nel Cammino sinodale, che deve saper far emergere la verità dall’incrocio tra ciò che, come detta il libro della Sapienza, è «stabile» ( Sap 7,23) e al tempo stesso «più veloce di qualsiasi movimento» ( Sap 7,24). La stessa attenzione all’assoluto e alla storia ci è chiesta da Gesù nella pagina del vangelo di Luca. A chi pretende di fissare con certezza il giorno dell’avvento definitivo del Regno, Gesù chiede anzitutto di porre lo sguardo nella quotidianità che è già impregnata della sua presenza: «il regno di Dio è in mezzo a voi!» ( Lc 17,21). Lo è perché la Sapienza divina, il Verbo di Dio si è fatto carne e da quel momento la storia è segnata dalla sua manifestazione. Lo è perché, in forza di questa irruzione di Dio nel mondo, ogni momento della storia umana è luogo della sua azione salvifica. E se per la rivelazione definitiva del Regno c’è da attendere il compiersi della storia senza avventurarsi in speculazioni sui tempi, essa va però attesa nella vigilanza e questa consiste nel cogliere nell’oggi i segni che ne anticipano l’avvento donandoci la certezza di un Dio che non abbandona le sue creature. Se nella riflessione sulla Sapienza la tensione era tra trascendenza e immanenza, da tenere unite, nelle parole di Gesù ci è chiesto di tenere legati tra loro l’attesa del suo ritorno, il compimento della salvezza, e lo sguardo sul presente, luogo di salvezza. Escatologia e storia non si contrappongono, ma l’una esige l’altra, dando significato alla nostra apertura all’irruzione della grazia come al contempo al nostro impegno storico. Anche in questa prospettiva incrociamo il nostro presente ecclesiale, sollecitato a una ricomprensione della missione della Chiesa che ci permetta di essere presenti al nostro tempo ma che non ne nasconda la relatività, essendo la missione figlia di una Chiesa sempre in cammino verso l’incontro con il suo Signore. Come attestano la Compilazione di Assisi e lo Specchio di perfezione ” (cfr. Fonti Francescane , nn. 1614-1615 e 1799), la rivelazione a Francesco della certezza del Regno è all’origine del Cantico di Frate Sole , il canto che egli consegna ai frati come testo da recitare e cantare prima di iniziare la predicazione del Vangelo per «sollevare il cuore degli uomini e condurlo alla gioia spirituale» ( Ivi , n. 1799). Ma la parola di Gesù ci avverte anche che la sua manifestazione gloriosa alla fine dei tempi deve essere preceduta dalla sua immersione nel mistero della sofferenza: «Come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione» ( Lc 17,24-25). La logica della croce indirizza la vita di Gesù, ma anche quella della Chiesa: la gloria suppone la prova. Le nostre progettualità pastorali, il nostro servizio al mondo non possono prescindere dalla consapevolezza che il segno dell’autenticità non sarà mai l’efficacia e il successo, secondo obiettivi alla fine umani, bensì accettare il rifiuto da parte del mondo e condividere le croci degli uomini. Accettando questo orizzonte di umiliazione ed umiltà, a cui invita anche la memoria di San Francesco in questo luogo, saremo davvero sapienti, di quella Sapienza che «pur rimanendo in sé stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti» ( Sap 7,27). 
S.E. Mons. Giuseppe Betori
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